Tutti i manufatti degli Indiani Americani erano sacri, sia quelli usati nelle cerimonie sia quelli di uso quotidiano, poichè ricavati da animali o alberi che possedevano uno spirito. E ogni singola cosa, fosse una maschera o un disegno ricamato sull'abito o sulla sabbia, rimandava ad altro: chi indossava quella maschera durante le cerimonie 'diventava' il personaggio raffigurato nella maschera, che aveva cioè un potere o era il simbolo di un potere superiore a quello umano che l'aveva forgiata, un potere che, se chiesto nel modo giusto, poteva essere trasmesso all'uomo. Lo stesso accadeva per i disegni rituali su sabbia: l'uomo doveva solo possedere l'abilità di riprodurli, o di inventarne di nuovi sotto la guida di uno spirito, e il potere della loro armonia e della loro bellezza avrebbe avuto la forza di ristabilire l'equilibrio nella persona ammalata e, così facendo, di guarirla. E i disegni dipinti o ricamati sulle camicie della Danza degli Spiriti, ricevuti in visione durante lo stato di trance all'interno della cerimonia, rappresentavano il potere che la persona aveva avuto dagli spiriti, un potere che l'avrebbe resa invulnerabile alle pallottole dei bianchi. I canti molto spesso venivano insegnati, durante una visione o un sogno, da spiriti inviati dall'Essere Supremo: erano perciò parole e musica divine. Mentre le leggende e i miti si facevano risalire a meravigliosi tempi remoti, in cui, come dicevano gli Inuit: «Tutti parlavano lo stesso linguaggio. In quel tempo le parole erano magiche e la mente umana aveva misteriosi poteri. Una parola, anche detta per caso, poteva avere effetti sorprendenti: improvvisamente diventava viva e i desideri si avveravano. Bastava soltanto pronunciarla. Nessuno riusciva a spiegarlo, ma era così». Le storie, raccontate la sera attorno al fuoco, avevano la sacra funzione di 'ricordare' e insegnare ai giovani la storia e le tradizioni della tribù. E c'era chi le raccontava meglio, c'era chi componeva poesie o musiche più belle (o 'sognava' meglio), chi intagliava magistralmente il legno o lavorava l'argento in maniera sublime, chi produceva tappeti o vasi che erano dei capolavori di rigore e armonia... Eppure non c'era l'individualità dell'artista, anzi molto spesso l'artista indiano rimaneva anonimo, e la ricchezza restava come patrimonio alla tribù: la capacità accresciuta di creare il 'bello' entrava a far parte del bagaglio culturale da passare alla nuova generazione. Così accanto a gesti e parole vecchi di centinaia di anni ne potevano essere posti altri, giudicati buoni per la collettività: gli Indiani erano estremamente attaccati alla tradizione perché sapevano che era frutto di esperienze di generazioni intere, ma erano anche pronti ad accettare il nuovo, se questo si mostrava valido. Attualmente la situazione è complicala e intricata perché non si tratta per gli Indiani di accettare, all'interno delle loro tradizioni, elementi nuovi. Quello che si trovano di fatto a vivere è il cambiamento totale della loro visione di vita, anche nel campo artistico: L'arte è nella società dei bianchi un lavoro come un altro, forse appena appena più gratificante. Un lavoro cioè che ti permette di guadagnare soldi per vivere, non un momento sacro all'interno di una quotidianità altrettanto sacra. I manufatti indiani, a parte quelli creati appositamente per le cerimonie, avevano anche nei tempi passati un commercio: il punto non è se produrli per il mercato, ma se passare una vita a lavorare avendo come obiettivo solo i soldi. Come ha riassunto bene Smohalla, dei Nez Percé: «Voi uomini bianchi sapete solo lavorare. Io non voglio che i giovani della mia tribù diventino uguali a voi. Gli uomini che pensano solo a lavorare non hanno tempo per sognare, e solo chi ha tempo per sognare trova la saggezza». Ma senza lavoro c'è la miseria, e questo gli Indiani delle riserve l'hanno imparato molto bene. E il mercato ha dimostrato di avere fame di oggetti indiani. Quello che il mondo dell'arte dei bianchi richiede a un artista (l'innovazione, l'essere sempre un gradino più su o più avanti degli altri, l'individualismo) e all'opera d'arte (l'essere messa sotto vetro e ammirata come il 'bello' fine a se stesso) è decisamente diverso da come gli Indiani vivono l'arte. Che cosa fare? Dimostrare la loro bravura abbandonando le vecchie tradizioni, o utilizzare le vecchie tecniche per soggetti nuovi, oppure tentare (ma è possibile?) di vivere come gli antenati? Anche in questo campo, come in quello politico e religioso, gli Indiani si stanno interrogando.
(Bibliografia, Una storia degli Indiani del Nord America-D.Guasco)